LA DISFIDA SULLA NEVE

LA DISFIDA SULLA NEVE

“Capisco e rispetto le proteste di albergatori, ristoratori, maestri di sci di tutto l’arco alpino contro le restrizioni di Natale. Ma chi pratica questo sport sa che gli assembramenti (code agli impianti e rifugi) sono frequenti. Si possono evitare o disciplinare? Proposte!”. Con questo Tweet, il giornalista Giovanni Valentini, già direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore del quotidiano la Repubblica, ha lanciato – per così dire – il sasso in piccionaia, intervenendo nelle polemiche tra il “polo del Nord” e il governo centrale a proposito restrizioni per le prossime vacanze ai tempi del coronavirus. E perciò Amate Sponde riprende e rilancia l’appello a fare proposte concrete e praticabili, per evitare da una parte di compromettere la salute pubblica e dall’altra di danneggiare l’industria turistica della montagna e dello sci.

È vero, come sentenzia l’ex campione Alberto Tomba dall’alto dei suoi podi olimpici, che questo è uno sport individuale, che si pratica all’aria aperta e a contatto con la natura. Ma qualsiasi appassionato conosce anche il rischio dell’affollamento sulle piste e intorno alle piste, soprattutto nel periodo natalizio. Le code alle seggiovie, alle funivie e agli skilift sono purtroppo all’ordine del giorno. Altrettanto vale per i rifugi, dove sciatori e non sciatori si ritrovano per rifocillarsi, mangiare e bere in compagnia.

E allora, realisticamente, che cosa si può fare? Imporre il “numero chiuso” negli impianti di risalita? Adottare il distanziamento anche nelle piccole baite di montagna? Misurare la febbre all’ingresso? E poi, a chi si possono affidare tutti questi compiti di sorveglianza continua? Agli alpini, ai reparti speciali dei carabinieri, dei poliziotti o dei finanzieri?

Sappiamo tutti che il “lockdown della neve” minaccia di rovinare le vacanze natalizie a tanta gente e di danneggiare soprattutto gli operatori e in particolare gli esercenti degli impianti. Il fatturato del turismo invernale – protesta Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria – sfiora i dieci miliardi di euro, di cui un terzo delle entrate si realizza proprio nel periodo compreso tra l’Immacolata e l’Epifania. La filiera che vive dell’industria della neve è lunghissima e comprende hotel, ristoranti, trasporti, scuole di sci che con la chiusura delle piste proprio nel momento di loro massima attività rischiano di vedere bruciati fino a tre miliardi di euro. Comprendiamo la necessità di voler evitare di ripetere gli errori commessi l’estate scorsa, ma con il fermo degli impianti di risalita, purtroppo anche prevedendo un’apertura delle piste a metà gennaio, ormai l’intera stagione sarà inevitabilmente compromessa”.

Aggiunge Valeria Ghezzi, presidente di Anef (Associazione nazionale esercenti impianti a fune): “Gli operatori del settore riconoscono, naturalmente, la gravità dell’emergenza in atto e l’attenzione primaria che deve essere rivolta alla salute degli italiani, ma quello che chiediamo è di essere ascoltati come categoria e di essere trattati come gli altri settori e cioè in base all’andamento del contagio. Non chiusi a priori. Un operaio degli impianti ha come obiettivo primario la sicurezza del trasporto, non il divertimento. Non identifichiamo lo sci quale attività sportiva con la movida perché è un gravissimo errore. Lo sci, come ogni altra attività che il governo intende riaprire si atterrà con scrupolo ai protocolli e alle regole di sicurezza. Come avvenuto Oltralpe, chiediamo al governo di confrontarsi con noi per capire la vera natura della nostra attività. Le recenti dichiarazioni del governo arrivate a noi solo via stampa (sic!) rischiano di far crollare l’intero comparto”.

In Italia, le aziende funiviarie sono oltre 400, con 1500 impianti di risalita di diversa tipologia. Questi sono serviti da circa 3.200 chilometri di piste, dotate per il 72% di innevamento programmato con un costo di oltre 100 milioni di euro: all’inizio della stagione invernale, le società impianti hanno sostenuto ormai il 70% delle spese per aprire in sicurezza, sia sul piano del trasporto e della gestione sia su quello della lotta al Covid. Il comparto montagna, soltanto nell’arco alpino, offre lavoro a oltre 120mila persone, la maggior parte delle quali con contratti stagionali. La chiusura degli impianti, quindi, avrebbe ripercussioni pesanti per tutte le attività e le strutture collegate: hotel, rifugi, ristoranti, attività commerciali, maestri di sci, noleggi.

“Abbiamo pronte – assicura la stessa Ghezzi – tutte le procedure per evitare le code alle casse per l’acquisto degli skipass, agevoleremo il più possibile l’acquisto dei biglietti e degli abbonamenti online. Faremo poi girare gli impianti alla massima velocità prevista, per far salire le persone più rapidamente e limitare ancora di più le code all’ingresso”. L’Anef ricorda, infine, che lo sci – se viene praticato con responsabilità – “è uno degli sport più sicuri da questo punto di vista: individuale, distanziato, all’aria aperta, con naso e bocca spesso coperti”.

Sono tutte buone intenzioni che si scontrano, però, con il rischio che – in piena epidemia – Natale diventi come Ferragosto: un’occasione cioè per infrangere le norme e alimentare il contagio. Lo spettro di una “terza ondata” incombe già sui primi mesi del 2021. L’ambiente, la salute, lo sport e l’economia s’intrecciano di nuovo in questa vigilia di fine anno. Ma intanto si aspetta che intervenga l’Unione europea per fissare regole comuni per tutti: se in Francia o in Svizzera si scia, in questa disfida sulla neve il “polo del Nord” avrà una ragione in più per protestare e opporsi al lockdown degli impianti. E il nostro ministro per i Rapporti con le Regioni, Francesco Boccia, annuncia ristori economici anche per gli operatori del turismo invernale.

 

 

 

 

 

              

 

 

 

 

 

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