Negli ultimi sei anni, il crollo dei consumi prodotto dalla crisi ha cancellato in Italia 94.400 imprese artigiane: da circa un milione e mezzo che erano nel 2009, secondo i calcoli della Cgia di Mestre si sono ridotte a un milione 371mila a fine 2014. Un’ecatombe di botteghe che purtroppo ha portato all’estinzione di una ventina di mestieri. Ma non si tratta soltanto di un fenomeno economico, bensì anche sociale e in un certo senso culturale: non a caso la parola “artigianato” ha la stessa radice di “arte”, perché presuppone una componente manuale d’inventiva, di fantasia e di creatività. A differenza della produzione in serie, infatti, qui ogni pezzo è diverso dall’altro, è sempre un pezzo unico.
Le regioni che in assoluto hanno perso più imprese artigianali sono, nell’ordine, la Lombardia (12mila), l’Emilia Romagna e il Piemonte con circa 10mila ciascuna, il Veneto con novemila e 900. In percentuale, rispetto al totale, i territori più colpiti sono invece la Sardegna (-12,2%), il Molise (-9,7) e l’Abruzzo (-9,4). I settori più penalizzati risultano quello delle costruzioni (-17,4%), dei trasporti (-13,5) e le attività appunto di natura artistica (-11).
La crisi ha messo alle strette in particolare impiantisti, elettricisti, idraulici, manutentori, con oltre 27mila unità in meno. Pesante anche la situazione nell’edilizia (-23.824) e nell’autotrasporto (-13.863). In crescita, invece, le attività di pulizia di edifici e impianti e quelle di giardinaggio: quasi 120mila in più. Un andamento positivo registra anche il settore alimentare (rosticcerie, friggitorie, pasticcerie, gelaterie).
Resta difficile la situazione dell’artigianato: con 10.633 chiusure, le officine fabbrili sono state le più colpite. A queste si aggiungono le falegnameria (-6.757 imprese), il tessile, l’abbigliamento e le calzature con 5.400 unità. Oltre il 54% della contrazione, insomma, riguarda la casa.
Al di là della dimensione economica, il fenomeno coinvolge la tradizione degli antichi mestieri e anche l’aspetto urbanistico delle botteghe artigiane, collocate per lo più nei centri storici delle nostre città, in particolare quelle d’arte: da Roma a Firenze e Venezia, da Nord a Sud. E spesso si tratta di negozi che hanno anche un pregio particolare dal punto di vista estetico, dell’arredo o dell’allestimento.
A Roma, nella suggestiva cornice della Biblioteca Angelica in piazza Sant’Agostino, è stato presentato nel novembre scorso un interessante progetto “per il recupero delle tradizioni artigiane e delle botteghe storiche”, proposto dall’Associazione culturale “Iter” con il sostegno della Fondazione Terzo Pilastro. Non si punta qui a ripristinare o custodire tanti “piccoli musei” dell’artigianato, magari con l’intervento di sponsor o tutor privati, quanto piuttosto a salvaguardare una tradizione e una cultura del lavoro che ormai sono purtroppo in via di estinzione. Tant’è valida l’iniziativa che alla fine i promotori sono riusciti a coinvolgere in qualche modo anche il Campidoglio.
A Foggia, invece, il progetto “Antichi Mestieri” – varato dall’assessorato comunale alle Politiche giovanili – è risultato un flop. Era rivolto in particolare ai disoccupati e a chi è in cerca di prima occupazione, con 15 ambiti individuati per i programmi formativi: dalle composizioni floreali alla panificazione, dall’arte del restauro alla falegnameria; dalla bigiotteria all’oreficeria. Ma finora la risposta è stata molto al di sotto delle aspettative.