Il mare dove si può fare il bagno in Puglia è di qualità eccellente al 99%. È quanto emerge dal report elaborato dal Sistema nazionale della Protezione ambientale (Snpa), sulla base dei dati delle stagioni balneari 2016-2019. Lo scrive Graziana Capurso, in un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Come viene spiegato sul sito del Snpa (www.snpa.it), gli oltre 6.000 chilometri di mare che bagnano le coste del nostro Paese sono suddivisi – ai fini del monitoraggio – in quasi 4.500 “acque di balneazione”. Per ciascuna di esse, almeno una volta al mese per tutta la durata della stagione, le Arpa/Appa effettuano campionamenti e analisi per tutelare i bagnanti. All’inizio di ogni stagione balneare le acque di balneazione sono catalogate secondo le quattro classi di qualità valide in tutta Europa: Eccellente, Buona, Sufficiente, Scarsa. Per l’anno 2020, a oltre 5.400 chilometri di acque di balneazione del litorale italiano è stata assegnata la posizione più elevata, cioè “eccellente“, pari a circa il 95% di tutte quelle classificate.
In particolare, come si legge nel report, la Sardegna e la Puglia (con il Salento in testa) sono le due regioni che vantano i dati più positivi, con il 99,7% di chilometri di coste balneabili “eccellenti”. E sono anche le due delle regioni con la maggior estensione di costa, ben 1.400 chilometri l’isola dei nuraghi e quasi 800 il “tacco” della Penisola.
In totale, sono nove comunque le regioni che registrano oltre il 90% di chilometri di acque di balneazione eccellenti: alle spalle di Sardegna e Puglia, figurano anche Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Sicilia. Questi dati complessivamente positivi per l’Italia, però, come evidenziato dallo studio “non devono farci “riposare sugli allori””.
La qualità delle acque di balneazione costituisce un indicatore significativo del carico di acque non depurate che arrivano in mare dai corsi d’acqua. Aree non servite da fognature, allacci alle fognature mancanti, insufficiente funzionamento del sistema depurativo, ecc. determinano apporti di contaminazione fecale, e non solo, che richiedono azioni di risanamento di carattere strutturale.
“L’attenzione – avverte il Sistema nazionale della protezione ambientale – deve essere sempre molto alta a tutti questi aspetti. Non si può ignorare quello che un recente rapporto ISTAT (dati 2015) ha documentato, e cioè che complessivamente nel nostro Paese solo il 77% dei reflui urbani risulta effettivamente depurato (anche se è auspicabile che negli anni intercorsi questa percentuale si sia ridotta), e quindi la restante parte può arrivare in mare con il proprio carico inquinante”.
(foto archivio “La Gazzetta del Mezzogiorno”)