Per più di un secolo, dal 1908 al 2010, ha ospitato gli uffici e le officine dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato: qui si coniavano le monete e si stampavano le banconote con la vecchia lira. Nello storico palazzo di piazza Verdi, a Roma, i lavori di ristrutturazione erano già iniziati da tempo, per trasformarlo in un hotel extra-lusso del gruppo cinese Rosewood, con 200 camere, un centro congressi, ristoranti, piscina, Spa e una cinquantina di residenze private. Ma ora la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio ha detto stop: a quanto pare, nel corso degli scavi, sono emersi dal sottosuolo i soliti reperti storici, le gru sono state fermate e smontate, il cantiere è rimasto abbandonato.
La storia, purtroppo, si ripete. È la “maledizione dei coccetti”, come la chiamano comunemente i romani, che in passato ha già bloccato in più occasioni l’ammodernamento e lo sviluppo della Città eterna, dalla metropolitana all’Auditorium Parco della Musica. E che tuttora paralizza la riqualificazione degli ex Mercati generali, abbandonati da anni sulla via Ostiense, fra il quartiere Testaccio e la Garbatella.
Il “colpo” alla Zecca è in realtà un altro duro colpo allo sviluppo della Capitale. Basti pensare agli effetti sull’occupazione che il cantiere e la ricostruzione di questo grande complesso immobiliare avrebbero prodotto negli anni futuri. Chissà quanto tempo dovrà passare prima che i lavori possano riprendere, se mai verranno ripresi.
Ora, per carità, non c’è da mettere in discussione la legittimità dell’intervento con cui la Soprintendenza ha bloccato tutto. Ma è mai possibile che finora nessuno si sia mai accorto o preoccupato di nulla? Non si poteva intervenire prima che il cantiere fosse installato o comunque all’inizio dei lavori? Effettuare un sopralluogo preliminare o magari una serie di sondaggi nel terreno?
Ammesso pure che alla fine emergano dal sottosuolo reperti storici o archeologici, si può già scommettere che resteranno isolati e privi di manutenzione. Se cade a pezzi il Colosseo, e qualunque turista può sfregiarlo a suo piacimento, figuriamoci il Poligrafico dello Stato. Nel frattempo, la Capitale d’Italia rischia di perdere un’altra opportunità di rinnovarsi e di crescere.
Chiuso e recintato, oggi il palazzo della Zecca ha un aspetto decisamente spettrale. Sembra un monumento alla paralisi burocratica e amministrativa in cui versa tutto il Paese, sommerso da una valanga di carta bollata. Un paradigma della sua impotenza e della sua crisi. Tanto più che la ristrutturazione dell’antico edificio potrebbe favorire anche la riqualificazione di piazza Verdi e dell’intero quartiere circostante, poco distante da Villa Borghese: un grande parcheggio sotterraneo, per esempio, consentirebbe di eliminare le auto in sosta sulla sede stradale e di trasformare l’area in una zona verde, a beneficio del traffico, della lotta all’inquinamento e della salute collettiva.
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