Mentre Vladimir Putin riscrive la dottrina nucleare, stabilendo che la Russia può usare l’atomica anche contro Paesi che non ce l’hanno (per esempio, l’Ucraina) ma sono appoggiati da Paesi che ne sono dotati (per esempio, gli Usa o la Francia), e mentre l’incubo della terza guerra mondiale torna a incombere sull’umanità, in Europa e in Italia si riparla di mini-nucleare: cioè di piccoli reattori, gli SMR (small modulare reactors) che, in attesa dell’arrivo della fusione entro il 2050, la dovrebbero produrre energia in impianti ridotti.
Il fatto è che il riscaldamento globale, da una parte, e la guerra Russia-Ucraina, dall’altra, hanno rimesso all’ordine del giorno la “questione energetica” e la necessità di diversificare le fonti, per non sottostare più alle forniture di gas e petrolio da parte di Mosca, con i relativi aumenti dei prezzi. E così, partendo dal presupposto che le rinnovabili al momento non bastano a soddisfare il fabbisogno, torna la voglia di nucleare. O meglio, di mini-nucleare.
Di che cosa si tratta esattamente? Non più di grandi centrale che mettono paura solo a vedersi. Bensì di piccoli reattori modulari, grosso modo come container, che possono essere installati o magari interrati nel perimetro delle fabbriche. Le loro dimensioni riducono così il rischio di fughe radioattive e quindi il pericolo di contaminazioni.
È stata l’Unione europea per prima a lanciare questa tecnologia, come antidoto alla crisi energetica e ai costi crescenti che minacciano di far perdere competitività alle nostro industrie, mettendole fuori mercato rispetto alla concorrenza straniera: in particolare, a quella americana e a quella cinese. In attesa, dunque, di passare dalla fissione dell’atomo alla fusione, e senza rinunciare nel frattempo allo sviluppo delle energie rinnovabili, ecco la soluzione degli small reactors che, a detta degli esperti, non sono completamente esenti – tuttavia – da rischi e pericoli. La transizione energetica diventa così una transizione verso il cosiddetto “nucleare pulito” che è tutto da realizzare e verificare.
Il documento a favore dei mini-reattori è stato siglato da 10 Paesi UE: Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia. Altri tre – Belgio, Paesi Bassi e Italia – hanno firmato invece firmato come Paesi osservatori. “L’atomo – si legge nella nota – è una tecnologia chiave, insieme alle energie rinnovabili, per raggiungere i nostri obiettivi climatici e la neutralità del carbonio nel 2050”.
Gli SMR sono reattori modulari, ovvero prodotti industrialmente in serie, e di piccola taglia. Possono arrivare, quindi, fino a 300 mega watt di potenza elettrica, a differenza delle centrali di quarta generazione che sono in grado di raggiungere i 1500 MWe. Questi impianti utilizzano il processo di fissione nucleare, sfruttando la scissione di atomi pesanti – come uranio-238 – per rilasciare energia e produrre energia elettrica. La tesi a favore è che tante piccole centrali sono più sicure, efficienti ed economiche di una molto più grande e potente.
I sistemi di sicurezza poi sono passivi: in caso di guasti o malfunzionamento, non è necessario un intervento umano, perché sono dotati di circuiti chiusi di raffreddamento. L’impianto, insomma, si spegne automaticamente. Rispetto a quelli tradizionali a fissione, le zone limitrofe sono più sicure e non c’è bisogno di un apporto di acqua esterno per il raffreddamento.
Di contro, c’è che i rischi – seppure su scala ridotta – sono gli stessi delle grandi centrali nucleari: dalla gestione delle scorie ai possibili disastri. Neppure i sistemi automatici di spegnimento sono completamente infallibili. E per di più, in caso di alluvioni o inondazioni, gli impianti non possono essere installati sottoterra.
Per maggiori approfondimenti, vedi: https:https://www.geopop.it/
Intorno a questa querelle, girano naturalmente grandi interessi industriali ed economici che hanno scatenato una corsa al mini-nucleare. Scrive Luca Zorloni su Wired: “Da Google a Microsoft, dalla startup Newcleo a una società del ministero della Difesa italiana, chi fa parte della coalizione con cui l’Europa vuole sostenere la produzione di small modular reactor. E non rimanere dietro Stati Uniti e Cina”. C’è da prevedere che continui almeno fino al 2050, quando dovrebbe scattare la prima accensione di un impianto a fusione nucleare, la tecnologia che replica l’azione del Sole fondendo i nuclei dell’atomo invece di dividerli per generare energia.
Dal nostro ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, fino alla Confindustria e a tutte le aziende energetiche, il fronte è compatto a favore del mini-nucleare. “Pronto il piano per il nucleare”, annuncia trionfalmente Il Giornale: “Il testo è previsto per la prima metà di dicembre, mentre l’esame del Parlamento arriverà a dicembre”, scrive Marcello Astorri. “Non si può dire no al nucleare”, sostiene Giuseppe Zollino, responsabile Energia e Ambiente di Azione, replicando su Il Foglio all’intervento del sindaco di Milano, Beppe Sala, che sul Corriere della Sera aveva spiegato invece “Perché dico no al nucleare”.
Su una cosa sola concorda con Sala l’amministratore delegato dell’Enel, Flavio Cattaneo, appellandosi dati alla mano al senso della realtà: “Per avere l’energia dell’atomo in Italia ci vorranno almeno 10 anni”. Ed è per questo motivo che il manager spiega di non aver inserito il nucleare nel Piano strategico triennale del suo Gruppo, anticipando che probabilmente non sarà possibile farlo neppure nel prossimo. Nel frattempo, Enel ha realizzato un utile netto di 5,8 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2024, con il “positivo contributo dei business integrati, guidati dalla performance delle energie rinnovabili”.