È da decenni ormai, che il Comune di Trino (Vercelli) ospita sul proprio territorio le scorie nucleari, accumulate dalle centrali italiane dismesse. E ora si candida come sede del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e parco tecnologico, pur non essendo inserito nell’elenco delle 51 aree idonee, pubblicato il 13 dicembre scorso dalla Sogin, la società pubblica incaricata di realizzare e gestire lo smaltimento. Rispetto alla logica del cosiddetto “Nimby” (not in my back yard, non nel mio giardino o cortile) sembra un paradosso, ma l’autocandidatura ufficiale è stata presentata il 12 gennaio dal sindaco Daniele Pane (lista civica, iscritto a Fratelli d’Italia).
A suo parere, Trino – già sede di una centrale, intitolata a Enrico Fermi, costruita fra il 1961 e il 1964 e chiusa nel 1990 – sarebbe stato escluso per motivi di carattere amministrativo. Ma in realtà non è così. In un articolo a firma di Luisiana Gaita pubblicato sul Fatto Quotidiano spiega Gian Piero Godio, vicepresidente di Legambiente e di Pro Natura per il Vercellese: “Non ci sono solo questioni amministrative, impedimenti che possono cambiare che riguardano gli insediamenti industriali, né tantomeno aspetti legati al consumo di suolo, che non è un criterio per l’esclusione. Ma problemi legati, tra l’altro, alla sicurezza del territorio: dai rischi di alluvione a quelli sismici. Senza considerare la presenza delle risaie”.
L’amministrazione comunale ha chiesto comunque al governo di “avviare una rivalutazione del territorio al fine di verificarne l’eventuale idoneità”. E il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, anche lui piemontese, ha accolto con favore la disponibilità di Trino, sul cui territorio sono concentrate al momento l’82% delle scorie radioattive. Naturalmente, l’autocandidatura è legata anche alla possibilità di ottenere in cambio le compensazioni economiche previste dalla procedura.
Fatto sta che, a parte le riserve di Legambiente, tra le 51 aree ritenute idonee 15 si trovano fra la Puglia e la Basilicata, 21 in provincia di Viterbo, otto in Sardegna, cinque in Piemonte e due in Sicilia. I criteri di idoneità sono fisici (lontananza da zone vulcaniche, sismiche e a rischio dissesto, da insediamenti civili, industriali e militari, dalle coste) e anche amministrativi (escluse le aree naturali protette e di interesse agricolo, archeologico e storico). A queste ragioni, gli ambientalisti aggiungono la vicinanza del fiume Po: in caso di esondazione, il deposito nazionale rischierebbe di essere allagato e di provocare una contaminazione nucleare. Agli esperti, ora, l’ardua sentenza.