Su un valore complessivo di 292 miliardi del patrimonio immobiliare pubblico, gli edifici dismessi e abbandonati valgono dai 12 ai 15 miliardi di euro. E potrebbero essere utilizzati, ristrutturandoli e cambiando la loro destinazione d’uso, per favorire la rigenerazione urbana. Lo sostiene il giornalista Giovanni Valentini, già direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore del quotidiano la Repubblica, in un commento apparso sul Fatto Quotidiano.
“Impianti industriali, siti militari, linee e stazioni ferroviarie, chiese e conventi, miniere, cave, edifici monumentali e quant’altro. Ecco un tesoro nascosto da utilizzare per ricostruire le nostre città”, si legge all’inizio dell’articolo. Il giornalista cita come fonte un documentato saggio scritto a quattro mani dall’ex ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi e da Bruno Placidi, intitolato Rigenerare il Bel Paese e pubblicato dall’editore Rubettino.
“In Italia esiste un enorme patrimonio dismesso, quasi del tutto sconosciuto e abbandonato”, denunciano i due autori del libro. E proprio all’insegna di questo verbo, invitano “a pensare la città in modo nuovo, non più legato all’espansione urbana, all’ulteriore consumo di suolo e all’edificazione aggiuntiva, ma rivolto alla città esistente e, in particolare, alla rimessa in gioco del patrimonio di aree e manufatti che sono stati progressivamente dismessi”. L’obiettivo è quello di farlo “diventare in parte o del tutto qualcosa di diverso da quello che era prima: un’attività, una funzione, una fruizione originale rispetto al preesistente”.
Si tratta, come spiega Valentini, di un deposito di risorse e opportunità, un asset pubblico che al momento risulta dismesso e quindi sprecato. “In estrema sintesi – come si legge a pagina 73 del volume – 100mila unità di fabbricati inutilizzati per circa 23 milioni di metri quadri”. E il paradosso è che la proprietà di questi immobili coincide con il soggetto – l’amministrazione pubblica – che ha il potere di decidere possibili trasformazioni d’uso. Un patrimonio che, una volta riqualificato, potrebbe essere il perno di una rigenerazione urbana su scala nazionale, ospitando funzioni pubbliche e private che introducano nuove attività culturali e sociali.
Non a caso il presidente del Consiglio Mario Draghi, alla recente Assemblea dell’Anci (Associazione dei Comuni italiani) a Parma, ha detto ai sindaci “il Piano nazionale di ripresa e resilienza è nelle vostre mani”. Ai Comuni verranno destinati, infatti, circa 50 miliardi di euro del Recovery Fund. “Abbiamo già approvato 159 progetti di rigenerazione urbana su cui investiamo 2,8 miliardi”, ha aggiunto il premier Mario Draghi (nella foto in alto, la celebre “Nuvola” dell’architetto Fuksas, sede dell’ultimo G20, nel quartiere Eur di Roma).
Sono 66.800 le unità residenziali inutilizzate, per poco più di 3,5 milioni di metri quadri. Rispetto a questo dato complessivo, le abitazioni abbandonate risultano circa 33.500. Cantine, soffitte, rimesse, box, garage, posti auto coperti e scoperti costituiscono altre 33mila unità stimate. Intorno a 34mila sono quelle delle altre tipologie di beni inutilizzati, per quasi 20 milioni di metri quadri. Vanno aggiunte poi 969 strutture ricettive (alberghi, pensioni e simili) e 5.725 fabbricati civili di varie tipologie.
In dettaglio, l’inventario di questo “tesoro urbano” comprende:
- 253 tra scuole e università, per una superficie di 1,8 milioni di metri quadri;
- 315 tra biblioteche, pinacoteche, musei e gallerie (125.500 mq);
- 86 laboratori scientifici (111.500 mq);
- 607 impianti sportivi (1,7 milioni mq);
- 796 ospedali, cliniche e case di cura (2,1 milioni mq);
- 604 castelli e palazzi storici (0,5 milioni mq);
- 654 case cantoniere (131mila mq); 232 fra teatri e cinema (143mila mq);
- 41 stabilimenti balneari e termali (49mila mq);
- 137 mercati coperti (97mila mq).
A quanto ammonta, dunque, tutto questo patrimonio pubblico? Sono diverse le variabili in base a cui definire il suo valore di mercato. Scrivono gli autori del saggio: “Il valore patrimoniale complessivo del 97,6% dei soli fabbricati censiti è stimato in 292 miliardi di euro” (elaborazione su dati del ministero dell’Economia e delle Finanze). Il 72% è riconducibile a immobili di amministrazioni locali, per la maggior parte Comuni (circa il 47%), mentre il resto è suddiviso fra le amministrazioni centrali (17%) e altri enti pubblici (11%). Il valore di quelli non utilizzati ammonta a circa 12,2 miliardi di euro, mentre altre stime arrivano a 12,58 o a 15,53 miliardi.
Ma è soprattutto l’effetto-volano delle ristrutturazioni, osserva ancora Valentini, che può innescare una spirale virtuosa nella rigenerazione delle città, migliorando la qualità della vita per gli abitanti. Un po’ come sta accadendo per il patrimonio immobiliare privato, in seguito al superbonus 110% introdotto dal decreto Rilancio del governo Conte 2 per favorire la riqualificazione energetica degli edifici e la ripresa dell’occupazione nell’edilizia: negli ultimi due anni, i posti di lavoro nelle costruzioni sono cresciuti di 132mila unità. E le ricadute di una rigenerazione urbana su scala nazionale possono essere di ordine economico, sociale e ambientale, com’è avvenuto per il Lingotto di Torino o per la Bicocca di Milano e come può avvenire per Bagnoli e per Taranto.
In una recente ricerca di Nomisma si prospetta un’applicazione del Green New Deal al patrimonio immobiliare pubblico, con l’obiettivo di puntare alla riqualificazione termica, energetica e sismica. Per 39 miliardi di investimenti, si potrebbero ottenere 91,7 miliardi di effetti diretti e indiretti; 50 miliardi di indotto; 141,8 complessivi di capitali pubblici e privati. Gli immobili verrebbero rivalutati del 30% e si risparmierebbero fino a 450 milioni all’anno nella manutenzione e nel consumo energetico. Le ricadute sull’ambiente sono stimate in 934mila tonnellate di CO₂ in meno.
Si tratta, insomma, come concludono Bianchi e Placidi nel loro studio, di “un investimento pubblico sulla qualità urbana e ambientale per attivare quello privato a cui garantire un’utile remunerazione fiscale e gestionale”. Sarebbe l’avvio di un nuovo boom edilizio. E soprattutto, senza un ulteriore consumo di suolo.