ELEZIONI, TEMPO DI CONDONI

ELEZIONI, TEMPO DI CONDONI

Lucia Annunziata stava per porgli la prima domanda nella sua trasmissione televisiva “In Mezz’Ora”, quando Silvio Berlusconi l’ha interrotta per precisare la propria posizione sul condono edilizio: “Non ho detto che sono a favore di un nuova sanatoria, ma che occorre individuare un alloggio alternativo per gli abusivi di necessità prima di buttare giù la loro casa”. In collegamento da Verona, Matteo Salvini evitava di rispondere ma la sua espressione tradiva un profondo dissenso rispetto alla posizione dell’ex premier sul condono. Il siparietto, andato in onda domenica 11 febbraio su Rai 3, è la conferma che la sanatoria edilizia è di nuovo tema da campagna elettorale. Non è la prima volta che, a poche settimane dal voto, fa capolino la proposta di condonare gli abusi per far cassa. E, probabilmente, anche in questa occasione si registrerà un picco di nuovi manufatti irregolari.

Il rapporto Ecomafie di Legambiente lo dimostra numeri alla mano. Ogni qual volta la politica ha messo sul piatto della campagna elettorale la parola “condono”, in tutto il territorio italiano sono riprese le costruzioni abusive. Viceversa, negli anni degli abbattimenti simbolici – basti pensare all’ecomostro del Fuenti sulla Costiera Amalfitana o a quello di Punta Perotti a Bari – il fenomeno si è ridotto sensibilmente.

Solo nel 2016, si sono registrati più di 17 mila abusi edilizi con una particolare concentrazione sulle coste. Record negativo in Puglia e Sicilia con 700 manufatti per chilometro quadrato, seguite dalla Calabria con 600. Il numero di abusi più alto in assoluto è riportato in Campania, Sicilia e Lazio, tre regioni martoriate dal mattone selvaggio. Ma è tutta Italia a soffrire per un fenomeno che non ha eguali nel resto d’Europa. Sempre secondo il rapporto Ecomafie 2017, tra il 15 e il 18% di tutte le nuove costruzioni realizzate nel 2016 è completamente abusiva.

Roma, l’unica grande capitale occidentale dove un terzo delle costruzioni è sorto spontaneamente, non è riuscita neanche a incassare le oblazioni delle precedenti sanatorie. Dal primo condono del 1985 a oggi, su 400 mila richieste, il Campidoglio ne ha esaminate solo 180 mila: in 33 anni neanche la metà, provocando una perdita secca di un miliardo di euro per le casse capitoline. Nell’Ufficio Condono Edilizio di via di Decima, sono rimasti 50 dipendenti sui 300 iniziali e rilasciano circa 11 mila sanatorie l’anno. Non va meglio in altre città: anche Napoli e Palermo hanno avuto grandi difficoltà a smaltire l’arretrato. Secondo uno studio realizzato nel 2016 da Sogeea spa, nei 116 comuni capoluogo italiani ci sono ancora un milione e 100 mila pratiche arretrate che comportano per lo Stato centrale un mancato incasso di 1,8 miliardi di euro e molto di più per i singoli comuni.

La storia che i condoni servono a portare denaro fresco nelle casse pubbliche, insomma, non sta in piedi. L’annuncio della politica serve solo a recuperare voti. Forse non è una coincidenza che esattamente cinque anni fa, l’8 febbraio del 2013, sempre durante la trasmissione di Lucia Annunziata che allora si chiamava “Leader”, Berlusconi dichiarò: “Se gli elettori finalmente mi daranno la maggioranza, solo a me e al mio movimento Popolo della Libertà, farò immediatamente un condono tombale e quindi anche un condono edilizio”. Sebbene quelle elezioni, come è noto, non furono vinte dal centro-destra, il senatore Ciro Falanga di Forza Italia (poi passato in Ala) presentò una proposta di legge che avrebbe rivoluzionato i criteri con i quali venivano decisi gli abbattimenti, stabilendo che le case abitate devono essere demolite per ultime. Di fatto sarebbe stato un altro condono. La legge Falanga venne poi accantonata a causa delle proteste di ambientalisti e altre forze politiche. Il centro-destra, aveva comunque già emanato due condoni nell’arco dei suoi mandati di governo: la legge 724 del 1994 e la 269 del 2003.

I condoni non solo non hanno portato i guadagni sperati allo Stato e ai Comuni, ma anzi hanno aggravato le spese per questi ultimi. Portare servizi quali fognature, acqua potabile, trasporti pubblici e illuminazione nelle zone di edilizia spontanea si è rivelato, infatti, un costo enorme. Inoltre l’edificazione abusiva costa circa il 40% in meno dell’edilizia regolare e provoca una concorrenza sleale nei confronti dei costruttori, falsando il mercato.

C’è poi il tema della sicurezza nei cantieri: la maggior parte degli incidenti sul lavoro avviene in cantieri abusivi. Per non parlare dello smaltimento dei materiali di risulta che viene effettuato senza alcuna attenzione.

Sul dissesto idrogeologico provocato dall’abusivismo edilizio si sono sprecati fiumi di inchiostro e basterà qui ricordare la tragedia dell’Hotel Rigopiano o la bomba a orologeria posta sotto migliaia di case abusive costruite alle pendici del Vesuvio.

In un Paese in cui il consumo di suolo è di tre metri quadrati al secondo, con una media doppia rispetto all’Europa, tornare a parlare di condoni è irresponsabile e miope. Una classe politica davvero attenta alla tutela del nostro territorio dovrebbe sottrarre ai Comuni la responsabilità degli abbattimenti e affidarla alle prefetture. I politici locali, infatti, sono sottoposti a pressioni elettorali molto forti e quasi mai riescono a portare avanti programmi di bonifica e messa in sicurezza del territorio.

Il Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile dell’Istat (Bes 2016) denuncia un “deciso rialzo del tasso di abusivismo” e stima che “in Campania, ogni 100 nuove costruzioni, 63,3 siano illegali”. L’ipocrita abitudine di piangere lacrime di coccodrillo in seguito ai disastri che vedono coinvolte case abusive non risparmia nessuna forza politica. Dopo il terremoto di Ischia dell’agosto scorso, il leader del M5S Luigi Di Maio se la prese con Forza Italia e Pd per le sanatorie da loro promosse, ma pochi giorni prima il candidato pentastellato alla Regione Sicilia, Giancarlo Cancelleri, promise che non avrebbe abbattuto le case costruite per necessità. In campagna elettorale, un condono si promette sempre.

Filippo Guardascione

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