’ stato per secoli l’ospedale dell’ultima possibilità di salvezza. Qui venivano portati i malati rifiutati dagli altri istituti perché ritenuti contagiosi o senza speranza. E’ per questo che il San Giacomo, primo ospedale di Roma insieme al Santo Spirito, prese il nome di Arcispedale degli Incurabili.
Era quello che oggi chiameremmo un centro di eccellenza per la cura della sifilide. Per essere guariti dal “malfrancioso”, i pazienti venivano sottoposti a terapie sperimentali spesso al confine con la stregoneria: come la cura del “legno santo”, un decotto di erbe che veniva somministrato per 30 giorni, associato a una dieta a base di uva passa e biscotti. Oppure il mercurio e un farmaco corrosivo che, versati sulle ferite, avrebbero dovuto cicatrizzarle. E invece quasi sempre il malato moriva per le ustioni.
A quell’epoca, intorno al 1520, il San Giacomo vantava già duecento anni di storia. Posto in una zona allora periferica, verso la via Flaminia, era molto vicino al porto di Ripetta dove venivano sbarcati i soldati ammalati. E ospedale è sempre rimasto fino al 2008, quando l’allora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, ne decretò la chiusura.
L’obiettivo era arginare il pauroso deficit della sanità laziale e concentrare i servizi sanitari in strutture più moderne e facili da gestire. I residenti si mobilitarono perché restassero attivi almeno il pronto soccorso e alcuni reparti di emergenza ma, nonostante le sessantamila firme raccolte, l’ultimo paziente uscì nell’ottobre del 2008 e da allora l’enorme edificio è sbarrato.
La Regione Lazio spende decine di migliaia di euro l’anno per le manutenzioni indispensabili e paga un canone di affitto di 2 milioni di euro alla San Im, un fondo immobiliare al quale l’amministrazione Storace vendette tutti gli ospedali regionali. La San Im versò alla Regione quasi 2 miliardi di euro per la proprietà delle mura di ospedali storici come il San Giacomo e moderni come il Pertini, in cambio di un canone di affitto di circa 90 milioni l’anno. Fu uno stratagemma contabile per ridurre il buco di bilancio ed evitare il commissariamento. Ma non raggiunse il suo scopo: tant’è vero che poco dopo la Sanità regionale fu commissariata.
Il San Giacomo è un edificio immenso. Occupa un intero isolato lungo quasi 500 metri che unisce via del Corso con via di Ripetta. Compreso nel “Tridente” del centro storico di Roma, il complesso stradale costituito da tre strade che da piazza del Popolo divergono in direzione sud, è un vero gioiello architettonico. La chiesa, attigua all’ospedale, fu progettata da Carlo Maderno, mentre la divisione dei reparti e delle camerate era frutto delle intuizioni di Camillo De Lellis, chiamato il santo degli ammalati perché proprio in questa struttura mise a punto le prime tecniche di assistenza infermieristica dell’epoca moderna.
Ma perché un patrimonio immobiliare del genere non è stato valorizzato o utilizzato e marcisce da dieci anni? Il motivo sta in una clausola testamentaria del cardinale Antonio Maria Salviati, che ne fu proprietario fino al 1562 quando decise di donarlo a Roma a patto che restasse per sempre una struttura per la cura degli infermi. Un vincolo che ne ha impedito la conversione ad altri usi come albergo, appartamenti, centro commerciale.
Se anche solo una parte dell’edificio perdesse la sua destinazione ospedaliera, gli eredi del cardinale infatti ne tornerebbero in possesso. Oliva Salviati e la figlia Polimnia, ultime discendenti della nobile famiglia, vigilano dal 2009 sulle decisioni della Regione. Lo fanno per garantire il rispetto delle volontà del loro avo, ma probabilmente anche nel proprio interesse. Diventerebbero proprietarie di un bene dal valore inestimabile, sottraendolo così a una destinazione pubblica.
In queste ultime settimane, la candidata alla presidenza della Regione Lazio per il Movimento 5Stelle, Roberta Lombardi, ha attribuito al presidente uscente Nicola Zingaretti (Pd) l’intenzione di trasformare l’edificio in un grande hotel. Ma la giunta regionale ha smentito l’indiscrezione, spiegando di aver già riacquistato dalla San Im 16 ospedali e di voler procedere anche al riacquisto del San Giacomo. Una volta completata l’operazione finanziaria, la struttura dovrebbe diventare un centro Caritas e una degenza per anziani.
Non è la prima volta che si disegna il futuro dell’ex ospedale, ma il progetto non si realizza. D’altronde – come diceva Shirley MacLaine in un suo film – è “inutile fare affidamento sulle promesse di chi è innamorato, ubriaco o concorre a una carica”.
Filippo Guardascione